Postato in data 13 Febbraio 2024 Da In Città

RAGUSA- MESSAGGIO QUARESIMALE DEL VESCOVO MONS. GIUSEPPE LA PLACA

Carissimi fratelli e carissime sorelle,

all’inizio della Quaresima, vi raggiungo con questo messaggio per invitarvi a vivere con intensità e impegno questo tempo grazia che, come ogni anno, ci è offerto per prepararci con gioia, purificati nello spirito, alla celebrazione della Pasqua e attingere ai misteri della redenzione la pienezza della vita nuova in Cristo (Cfr. Prefazio di Quaresima 1).

La Quaresima, lungi dall’essere un periodo cupo, triste, fatto solo di rinunce e impegni gravosi, è soprattutto il tempo della gratitudine e della riconoscenza perché ci pone dinanzi agli occhi la Croce gloriosa di Cristo, la sua offerta d’amore che ci ha ridonato la libertà perduta con il peccato.

 

Il desiderio di Dio

Se è vero – come ci ricorda San Leone Magno – che in ogni tempo è bene per noi vivere con sapienza e santità, avvicinandosi, però, i giorni della Pasqua, è necessario purificare i nostri cuori con cura più diligente e con più impegno esercitarsi nelle virtù cristiane.

Iniziamo, allora, fiduciosi e gioiosi l’itinerario quaresimale, facendo risuonare in noi il forte richiamo che il profeta Gioele, dando voce al desiderio struggente di Dio, rivolge al popolo di Israele: «Ritornate a me con tutto il cuore» (Gi 2,12).

 

Ritorno al cuore

La conversione che il Signore ci chiede, infatti, non è solo un cambiamento di facciata, che si limiti alla superficie o all’esteriorità, ma un cambiamento che deve avvenire dentro di noi, che arrivi, appunto, fino al cuore. Se non cambia il cuore, non cambia nulla: «Dal di dentro, cioè dal cuore degli uomini – ha detto con chiarezza Gesù – escono le intenzioni cattive» (Mc 7,21). Prima che all’esterno, infatti, il peccato lo abbiamo già consumato nel nostro cuore. È proprio lì, allora, che deve avere inizio il ritorno a Dio (Cfr. Ger 3,10; 29,13), attraverso un cammino di purificazione dei pensieri, delle parole, dei gesti e dei comportamenti.

 

Carissimi amici, questo ritorno a Dio è possibile per tutti noi. In ciascuno di noi, infatti, c’è una forza che non risiede dentro di noi, ma che si sprigiona dal cuore stesso di Dio. È la forza della sua misericordia. Dice ancora il profeta Gioele: «Ritornate al Signore, vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore, pronto a ravvedersi riguardo al male» (Gi 2,13). Il ritorno al Signore è possibile, perché è innanzitutto opera sua. Nell’abisso del nostro cuore soltanto Dio può arrivare con la sua grazia. Se ci lasciamo rovistare dentro, rivoltare come un calzino, scrutare in ogni anfratto, anche il più segreto e nascosto, lui ci guarirà.

 

Un vaso da svuotare

Tuttavia, da parte nostra, è necessaria una presa di posizione decisa nei confronti del peccato e un desiderio vivo di conversione: «La nostra vita – scrive Sant’Agostino – è una ginnastica del desiderio. Il santo desiderio sarà tanto più efficace quanto più strapperemo le radici della vanità ai nostri desideri. Per essere riempiti bisogna prima svuotarsi. Tu devi essere riempito dal bene, e quindi devi liberarti dal male. Bisogna liberare il vaso da quello che conteneva, anzi occorre pulirlo, magari con fatica e impegno, se occorre, perché sia idoneo a ricevere qualche cosa» (Trattati sulla prima lettera di Giovanni, PL 35).

 

Un cuore semplice e unificato….

C’è chi dice che oggi noi cristiani viviamo una sorta di “schizofrenia spirituale”, viviamo, cioè, con il cuore diviso e consegnato a diversi padroni, finendo per risultare persona doppie e, appunto, divise in se stesse. Il tutto in una confusa e contraddittoria gerarchia di valori e disvalori che determina la lacerazione dell’io e la frantumazione della persona, incapace di trovare un “centro” al quale ricondurre pensieri, parole e azioni e dare unità al proprio essere e al proprio agire. «Ritornare a Dio con tutto il cuore», vorrà dire, allora, semplicemente intraprendere la strada dell’unificazione del cuore.

 

Ma ci chiediamo: che cosa vuol dire avere un cuore unificato? Vuol dire semplicemente avere un cuore pulito, trasparente, senza doppi fini, senza ambiguità; vuol dire avere un cuore semplice. La persona dal cuore semplice è una persona trasparente nella quale le parole, i gesti e i comportamenti sono coerenti, limpidi, senza doppiezza; è una persona che mette Dio al centro della propria vita e tutto fa girare attorno a lui: desideri, progetti, scelte, lavoro, gioie e dolori, conquiste e sconfitte.

 

…per camminare insieme

Quando la nostra esistenza è sostenuta da un’unica forza ed è protesa verso un unico fine, e cioè Dio, scompare lentamente il nostro “io” egoistico che ci intristisce nella solitudine, ed emerge al suo posto il “Tu” di Dio e il “tu” del fratello.

L’esperienza del Cammino Sinodale che stiamo vivendo è, in questo senso, un importante esercizio spirituale. Ci vuole, infatti, un cuore semplice per non opporre all’ascolto dell’altro la barriera dei nostri pregiudizi e accoglierne le parole con gratitudine e in spirito di fraterna condivisione. Solo allora il nostro sarà un dialogare “cordiale”; solo allora la sinodalità non sarà solo un bel tema, uno slogan, un logo o un evento, ma un vero e proprio cammino di conversione quaresimale, personale e comunitario.

 

Sulle strade della vita

Quali strade percorrere per ritornare a Dio con tutto il cuore? il Vangelo, nel tempo di Quaresima, ce ne indica tre: il digiuno, la preghiera e l’elemosina (Cfr. Mt 6,1-6.16-18), tre strade – ci ricorda Papa Francesco – che «ci riportano alle tre sole realtà che non svaniscono. La preghiera ci riannoda a Dio; la carità al prossimo; il digiuno a noi stessi. Dio, i fratelli, la mia vita: ecco le realtà che non finiscono nel nulla, su cui bisogna investire. Ecco dove ci invita a guardare la Quaresima: verso l’Alto, con la preghiera, che libera da una vita orizzontale, piatta, dove si trova tempo per l’io ma si dimentica Dio. E poi verso l’altro, con la carità, che libera dalla vanità dell’avere, dal pensare che le cose vanno bene se vanno bene a me. Infine, ci invita a guardarci dentro, col digiuno, che libera dagli attaccamenti alle cose, dalla mondanità che anestetizza il cuore. Preghiera, carità, digiuno: tre investimenti per un tesoro che dura» (Santa Messa del 6 marzo 2019).

 

Qualche indicazione “stradale”

Permettetemi, carissimi amici, a margini di queste semplici riflessioni, di suggerire a me e a voi qualche indicazione per “camminare insieme”, in questo tempo di Quaresima, sulla strada del nostro “ritorno a Dio”.

La Quaresima è tempo di preghiera, di una preghiera più intensa, più prolungata, più assidua. Proviamo, allora, a dedicare quotidianamente qualche minuto alla preghiera, magari leggendo e meditando il Vangelo del giorno.

Impariamo anche a praticare il digiuno, non solo quello alimentare, ma soprattutto quello delle parole: «Oltre a digiunare con la bocca – scrive San Giovanni Crisostomo – devi digiunare dal dire qualsiasi cosa che possa fare male all’altro, perché a cosa ti serve non mangiare carne se divori tuo fratello?». Impegniamoci, dunque a rivolgerci agli altri con parole buone, vere, belle e gentili.

E, infine, la carità: tutti siamo a conoscenza di situazioni di solitudine e di difficoltà in cui si trova qualche persona di nostra conoscenza. Prendiamoci l’impegno di farle visita almeno una volta alla settimana, o chiamarla per telefono per darle un po’ di compagnia e di conforto.

Sono convinto che le energie e il tempo dedicato a queste attività non andrà sprecato, ma porterà alla nostra vita frutti di conversione e di gioia incomparabili.

 

Ci accompagni, in questo tempo di grazia, la Vergine Maria, per arrivare a celebrare, purificati e rinnovati nello spirito, il grande mistero della Pasqua del suo Figlio.

 

✠ Giuseppe La Placa

Vescovo

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