Ragusa. Dalle 14,45 dell’undici gennaio 1693 tutto cambiò. I nostri nonni lo chiamano ancora: “U terremoto ranni”. In città le vittime causate dalla terribile catastrofe che colpì buona parte della Sicilia sudorientale, furono circa 5.000.
La città di Ragusa stava per compiere i suoi primi cinquant’anni. Era il 1644 quando il Vicerè di Sicilia Giovanni Alfonso Enriquez de Cabrera venne in visita in occasione della festa di San Giorgio, insignendo ufficialmente Ragusa del titolo di “città”. L’insegna concessa fu l’aquila, con al petto la croce arcuata di San Giorgio, simbolo di universalità del culto utilizzato fino al 1928. ( L’insegna è oggi visitabile presso il museo del duomo ).
L’undici gennaio del 1693 è un confine che segnò per sempre questa terra continuando a farlo fino ai giorni nostri. Una rinascita che esprime l’essenza di un popolo forte, laborioso e lungimirante, figlio di un territorio riconoscente e pronto a dare il meglio di s‚.
Dalle forme sinuose delle silenziose cave, dalle cui viscere si estrae il tufo color oro che materializza la rinascita, all’esplosione del barocco: maschere, mostri, animali, forme ellittiche, donne e santi, un divenire di forme e contenuti. L’altipiano tesse un fitto tessuto socioeconomico sempre più vivo, fatto da piccole e grandi masserie, talvolta anche castelli, permettendo il grande lavoro dei maestri scalpellini. La ricchezza data da fertili campi lavorati dalle instancabili braccia dei massari, le grandi distese di carrubi e di ulivi, insieme alla sapiente produzione del cosacavvaddu.
La città vive, la campagna produce, Ragusa cresce con idee chiare e schematiche come il disegno di Mario Leggio, che darà ordine alla città nuova. L al Patro, dove la competizione e il campanilismo portano al proliferare di grandi chiese, larghi viali, sontuosi ed eleganti palazzi e poi giù verso l’Irminio dove il barocco e la bellezza diventano un tutt’uno con la terra. La sfida tra il vecchio e il nuovo si articola attraverso una dinamica che procede per contrasti: tra sacro e profano, sopra e sotto.
Tutto ciò che è possibile ammirare oggi è frutto di un passato caratterizzato da un evento così catastrofico che non c’è dato dimenticare. Dobbiamo piuttosto difendere il nostro territorio, valorizzarlo e promuoverlo ad ogni costo, insieme alle tradizioni che ci sono state tramandate con cura e fatica. Ragusani, siate sempre orgogliosi delle vostre radici!
Giovanni Gurrieri & Marco Trovato