S’intitola «Ora è tempo di gioia» il messaggio per l’Avvento che il vescovo di Ragusa monsignor Giuseppe La Placa indirizza a tutti e che domenica sarà distribuito nelle chiese della Diocesi, «L’Avvento – spiega il vescovo – è il tempo della gioia perché perché è il tempo dell’attesa dell’evento più lieto della storia: la nascita del Figlio di Dio» ma anche perché «ci indica la strada per rimettere a fuoco il nostro “sguardo” sull’essenziale, per rimodulare le nostre attese e le nostre speranze e accogliere ora, proprio ora, lo “scandaloso” invito alla gioia più vera e più pura, quella che dà senso e pienezza alla nostra vita».
Il vescovo ricorda quindi che «compito di ogni cristiano è di testimoniare e trasmettere questa gioia alle donne e agli uomini del nostro tempo. Generosa e contagiosa, infatti, la gioia cristiana è una luce che mette in movimento, che coinvolge il cuore, le mani, i piedi, che trasforma la nostra mente e la nostra stessa carne, divenendo azione, fatto, comportamento».
In questo tempo di Avvento il vescovo invita ognuno di noi a lasciarsi «abbracciare dall’amore del Dio Bambino che, nato per noi, allarga ancora le sue braccia per accoglierci e ricordarci che, con Lui, ogni tristezza si cambierà in gioia e che nuove armonie trasformeranno i lamenti in canti di festa».
Il testo integrale del messaggio:
Carissimi fratelli e sorelle,
«Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. […]. Il Signore è vicino!» (Fil 4, 4-5).
È questo l’appello che risuona in tutte le chiese nel tempo di Avvento. E anche quest’anno ci
sentiremo ripetere l’invito a “essere lieti nel Signore. L’Avvento, infatti, è il tempo della gioia,
perché è il tempo dell’attesa dell’evento più lieto della storia: la nascita del Figlio di Dio.
1. Mai più soli
Carissimi fratelli e sorelle, non può esserci spazio per la tristezza sapendo che, duemila anni
fa, la sorgente della nostra gioia è venuta al mondo. Non più come promessa, ma come consolante
presenza di Colui che si fa nostro compagno di viaggio sulla strada, a volte tortuosa, della nostra
vita.
Il motivo della nostra gioia, infatti, è sapere che non siamo più soli, che possiamo attraversare
le nostre sofferenze, le nostre delusioni, le ombre che spesso si addensano sulla nostra vita,
sapendo di essere sempre accompagnati, custoditi e sostenuti: «La gioia – scrive Papa Francesco
– deve essere la caratteristica della nostra fede. Quella gioia di sapere che, anche nei momenti bui,
il Signore è con me, il Signore è con noi […]. La gioia del cristiano non è l’emozione di un istante
o un semplice ottimismo umano, ma la certezza di poter affrontare ogni situazione sotto lo
sguardo amoroso di Dio, con il coraggio e la forza che provengono da Lui» (Il Vangelo di ogni
domenica, pp. 20 e 227).
2. «Dobbiamo aspettare un altro?»
Il Natale che ci apprestiamo a celebrare ci ricorda proprio questo: Gesù è venuto a trovarci
per restare sempre con noi. Egli è l’Emmanuele. Si tratta solo di riconoscere i segni della sua
presenza. Anche nei momenti più difficili, anche quando non vediamo motivi per cui sperare, lui
è “il Dio con noi”, Colui che, atteso per secoli, è arrivato per moltiplicare la gioia e aumentare la
letizia (Cfr. Is 9,2).
Eppure, come i discepoli di Giovanni Battista – che pur avevano incontrato Gesù, ascoltato
la sua parola, visto i prodigi che compiva – anche noi, tante volte, continuiamo a chiederci:
«Dobbiamo aspettare un altro?» (Mt 11,3). Come se fossimo sempre in attesa di qualcuno o di
qualcosa che dia finalmente una svolta alla nostra vita, che appaghi il nostro desiderio di felicità;
un desiderio tante volte frustrato perché andiamo a cercarne l’appagamento là dove è difficile
trovarlo: nella ricchezza, nel piacere, nella fama, nel potere e in tutto ciò che non potrà mai
colmare la capacità infinita della nostra natura spirituale. Solo il possesso di un bene infinito,
infatti, può appagare realmente il desiderio insopprimibile di vita piena e felicità duratura che
portiamo dentro.
A Natale questo bene infinito, il solo che può appagare il nostro desiderio di felicità, ha fatto
il suo ingresso nella storia: è Cristo, carissimi fratelli e sorelle, la risposta a questo anelito, a questa
sete, a questa vocazione alla felicità che Dio stesso ha messo nel nostro cuore, come ulteriore
segno della nostra somiglianza con lui.
3. «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete»
Per dissetarci alla sorgente della gioia di cui vi sto parlando è, però, necessario riconoscerne i
segni della sua presenza.
A Giovanni, che manda i suoi discepoli per sapere se sia proprio lui l’atteso, Gesù risponde
facendo parlare i fatti: «I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono
purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo» (Mt. 11, 4-5).
Sono i segni, imprevisti e per certi versi scandalosi, che il regno di Dio è arrivato. I discepoli
di Giovanni, però, devono ancora imparare ad “udire” e a “vedere” come Dio porta avanti la
storia dell’umanità, come realizza la vita lì dove regna la morte, diffonde la luce lì dove domina il
buio, realizza la comunione lì dove domina l’isolamento, come infonde la gioia in coloro che –
poveri, perseguitati, sofferenti nell’anima e nel corpo – si fidano totalmente di lui e sanno
riconoscere i segni della sua presenza nel mondo.
L’Avvento è il tempo della gioia perché ci indica la strada per rimettere a fuoco il nostro
“sguardo” sull’essenziale, per rimodulare le nostre attese e le nostre speranze e accogliere ora,
proprio ora, lo “scandaloso” invito alla gioia più vera e più pura, quella che dà senso e pienezza
alla nostra vita.
4. «E beato chi non trova in me motivo di scandalo».
Capita qualche volta anche a noi, infatti, di scandalizzarci del Signore, di “inciampare” sulla
strada della vita quando essa non segue le rotte che noi abbiamo determinato, quando Dio non
si fa vedere dove vorremmo incontrarlo, quando non agisce come noi abbiamo previsto.
Gesù, nel discorso della montagna, ci ha fatto sapere che c’è una via sicura per essere felici;
una via che, per essere percorsa, richiede di entrare in una logica “altra”, “scandalosa” e
“paradossale”, qual è quella di un Dio che, onnipotente, si nasconde nella fragilità di un bambino
e che, per salvare l’uomo, perde se stesso. Può, infatti, apparire “scandaloso” che il Vangelo ci
indichi la strada della povertà, dell’afflizione, della persecuzione, della sofferenza per essere felici.
Eppure può capitare di incontrare un uomo seduto su una carrozzella che canta la gioia di vivere
e un altro terribilmente inquieto perché non è riuscito a guadagnare l’ennesimo miliardo.
5. «Che cosa dobbiamo fare?»
Quando la gioia del Vangelo ci investe con la sua luce, crea uno slancio vitale e incontenibile che
ci invita a condividerne i raggi. Compito di ogni cristiano è, allora, di testimoniare e trasmettere
questa gioia alle donne e agli uomini del nostro tempo. Generosa e contagiosa, infatti, la gioia
cristiana è una luce che mette in movimento, che coinvolge il cuore, le mani, i piedi, che trasforma
la nostra mente e la nostra stessa carne, divenendo azione, fatto, comportamento.
Alle folle che vanno ad ascoltarlo, Giovanni suggerisce di condividere vestiti e cibo con chi è
più povero (Cfr Gv. 3,11); a noi il Signore chiede di ripetere i miracoli dell’amore da lui compiuti
lungo le vie della Palestina. E se, come lui, non possiamo ridare la vista ai ciechi, sanare i lebbrosi
o risuscitare i morti (Cfr. Mt. 11, 4-5), possiamo però dar da mangiare all’affamato, da bere
all’assetato, vestire chi è nudo, accogliere lo straniero, visitare chi è solo e ammalato (Cfr. Cfr. Mt
25, 31-46). Possiamo, cioè, far germogliare la vita e rinascere la speranza in chi l’ha smarrita.
6. Ora è tempo di gioia, non ve ne accorgete? Fratelli e sorelle, amici carissimi, in questo tempo di Avvento lasciamoci abbracciare dall’amore
del Dio Bambino che, nato per noi, allarga ancora le sue braccia per accoglierci e ricordarci che,
con Lui, ogni tristezza si cambierà in gioia (Cfr. Gv 16, 20) e che nuove armonie trasformeranno
i lamenti in canti di festa. Perché – ci ricorda il Signore – «Ora è tempo di gioia, non ve ne
accorgete? Ecco faccio una cosa nuova, nel deserto una strada aprirò.
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