raccolta pomodoro

Postato in data 24 Aprile 2016 Da In Società

ERAVAMO PROVINCIA BABBA…

In fondo lo sapevamo; che ci fosse malaffare nell`ambito dell`agroalimentare lo sapevamo. La crisi del settore non è solo il risultato di scellerate politiche europee che non proteggono i nostri prodotti, il cancro sta altrove, le metastasi sono profondamente radicate in comportamenti oppressivi, aggressivi e illegali che «si dice» ma è difficile dimostrare.

Adesso che Eurispes (Ente italiano che si occupa di studi economici, politici e sociali) lo comunica a chiare lettere, assegnandoci il titolo di «capitale della mafia» nel settore agroalimentare, non possiamo più fare finta; dobbiamo incassare e prenderne atto, non minimizzare, non giustificare, perché negare non serve a nulla, anzi ci fa entrare in una spirale di omertà condivisa che rallenta e stoppa il processo di ri-nascita. Dobbiamo diventare consapevoli e cercare la cura.

Da cittadina Ragusana mi sento in lutto. Ho perso l`orgoglio, mi sento stuprata nella memoria e nella dignità, impotente di non poter gridare che questa terra è fatta di persone per bene, oneste, operose, che lavorano con serietà. Sì, impotente, perché queste persone non riescono a costruire una lobby della legalità al contrario di quegli altri, i malfattori, che indisturbati costituiscono le SpA dello sfruttamento e dell`illegalità e governano i mercati e quindi i prezzi, disprezzano il fattore Terra e il fattore Lavoro. E a mio parere non finisce qua. È recente la notizia (subito bollata come esagerata) della tratta delle schiave. Storie di donne che, illuse con la promessa di un lavoro, si vedono segregate in campagne sperdute, costrette a lavorare 12 ore al giorno per poche spiccioli. Mi direte succede anche agli uomini, il caporalato è uno dei tanti aspetti delle metastasi. Vi rispondo: quelle donne sono costrette, oltre al lavoro sottopagato, a prostituirsi, diventano oggetto di scambi e di regali agli amici, sono costrette ad abortire, subiscono umiliazioni indicibili, in quanto donne!

Anche questo «si dice» ma ancora i dati non ci sono e quindi non è vero: possiamo però mettere a tacere la nostra coscienza; una cosa che non è statistica semplicemente non esiste. Ci vuole tanto a supporre che in un ambito corrotto dallo sfruttamento e dal non rispetto della umana dignità e dei diritti fondamentali della persona, quello che «si dice» potrebbe avere un fondamento di verità? Vogliamo continuare a pensare che quelle donne sono «rovina famiglie o ruba mariti»? Continuare a voltarci dall`altra parte sui misfatti compiuti dai mariti, figli, padri, fratelli, compagni, che lasciano a casa le mogli, madri, sorelle, compagne e appena fuori dall`uscio di casa si trasformano in mostri? Vogliamo aspettare che tra qualche anno Eurispes metta nero su bianco e sciorini i dati?

Penso sia giunto il momento di togliersi il prosciutto dagli occhi e confessare chiaramente che siamo diventati una società di egoisti, qualunquisti, individualisti, menefreghisti e assenteisti; assenteisti dalla nostra vita, dai sani valori, dalle buone pratiche, dalla solidarietà, dall`aiuto reciproco, dal rispetto della persona, da tutti quei sani comportamenti che fino a qualche tempo fa ci rendevano « provincia babba », definizione della quale andavo orgogliosamente fiera, molto più di adesso che i luoghi del commissario più famoso della fiction italiana, sono sporcati dal fango della malavita organizzata di stampo mafioso.

Ricordiamolo tutte le volte che mangiamo un pomodoro, una zucchina o un finocchio. Chiediamoci se ci stiamo cibando di sudore, sangue e dolore, sovvenzionando direttamente sfruttatori e strozzini; non limitiamoci a scegliere solo in base al prezzo, perché le cose che costano poco valgono poco e talvolta meno di niente.

Esigiamo di acquistare sul banco dei mercati e dei supermercati prodotti certificati che assicurino la pratica di comportamenti virtuosi e rispettosi della natura e del lavoro. Promuoviamo il rilancio di una società operosa e sana che vuole tornare al rispetto di sé.

E alle persone di buona volontà, che loro malgrado sono travolti dalla generalizzazione che fa di tutta l`erba un fascio, proprio a loro chiedo: istituite un «Bollino del Rispetto» per differenziarvi dalla malerba, agitate con coraggio la carta della legalità, varate un progetto di trasparenza sui processi produttivi che vedano l`impiego di mano d`opera giustamente retribuita e di corrette pratiche di coltivazione.

Istituzioni e media: è giunto il tempo di fare la vostra parte… dalla parte dei buoni!

Cecilia Tumino

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