Agata Pisana

Postato in data 31 Dicembre 2015 Da In Società

DIRE È ESSERE, SCRIVERE È VIVERE

Quanta luce negli occhi di chi si rende conto di aver detto proprio la parola che voleva dire, quanta gioia in chi si sente dire proprio la parola che sperava di sentire! Come suggerisce il titolo di un famoso testo sulla Comunicazione non violenta, «Le parole sono finestre… oppure muri». Spalancano lo spazio libero delle relazioni o segregano in un chiuso mutismo. La parola (così come il gesto, che è parola agita) è via per una vita felice o meno. Stiamo male se ingoiamo quello che avevamo bisogno di dire e altrettanto ci tormentiamo se diciamo cose di cui ci siamo pentiti. Né possiamo non comunicare: anche non dire è dire qualcosa. La vita umana si fonda su una serie di relazioni costruite attraverso le comunicazioni, verbali e non. La comunità sociale è il trama che su questa rete si tesse. Le istituzioni, le leggi, la cultura, le abitudini sono i vari tipi di tessuti che ogni gruppo umano realizza: tante più persone avranno dato il proprio apporto a questa tessitura tanto più viva essa sarà. Non servono trine e merletti, ma che le trame siano compatte e solide, cioè filate con pensieri autentici e coerenti con valori vissuti. Se è vero che nessuno è così povero da non poter donare un sorriso, è anche vero che nessuno è così arido da non poter offrire agli altri i propri pensieri. Lo Stato paga per una scuola pubblica perché vuole che tutti imparino a focalizzare, coltivare e arricchire proprie opinioni e acquisiscano strumenti idonei ad esprimerle. Bene e chiaramente e – aggiungiamo – a tutti. Parlare a tu per tu è idoneo in tanti casi, ma le idee umane hanno bisogno di volare in alto, di essere visibili a tutti, di diffondersi e spargere la propria fertilità ovunque. Ogni idea, di ognuno, merita spazi ampi. Anche quella meno condivisa non è altro che l’idea che nasce da un punto di vista che gli altri non riescono a vedere, ma che c’è. Ma se «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione» (art. 21 Costituzione italiana), è anche richiesto che il proprio dire mantenga criteri di rispetto reciproco e di verità. La diffamazione è considerata reato sin dai tempi antichi e ovunque: posso dire quello che penso, ma non calunniare, non parlare di fatti di cui non sono certo o di cui non posso riportare fonti attendibili e oggettivamente riscontrabili. Dire è un dovere civico e morale, ma va fatto con onestà, con forza e cautela. «Tu, quando scriverai, lo dovrai fare in ginocchio per amare; seduto per giudicare, in piedi e con forza per combattere e seminare» – recita lo splendido ‘decalogo del giornalista’ del grande Emanuele Lozano Garrido. E ancora: «Taglia la mano che vuole imbrattare, perché le macchie nei cervelli sono come quelle ferite che non guariscono mai. Ricorda che non sei nato per la stampa a colori (gialla, nera, rossa..). Né confetteria, né piatti forti. Meglio…

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Quanta luce negli occhi di chi si rende conto di aver detto proprio la parola che voleva dire, quanta gioia in chi si sente dire proprio la parola che sperava di sentire! Come suggerisce il titolo di un famoso testo sulla Comunicazione non violenta, «Le parole sono finestre… oppure muri». Spalancano lo spazio libero delle relazioni o segregano in un chiuso mutismo. La parola (così come il gesto, che è parola agita) è via per una vita felice o meno. Stiamo male se ingoiamo quello che avevamo bisogno di dire e altrettanto ci tormentiamo se diciamo cose di cui ci siamo pentiti. Né possiamo non comunicare: anche non dire è dire qualcosa.

La vita umana si fonda su una serie di relazioni costruite attraverso le comunicazioni, verbali e non. La comunità sociale è il trama che su questa rete si tesse. Le istituzioni, le leggi, la cultura, le abitudini sono i vari tipi di tessuti che ogni gruppo umano realizza: tante più persone avranno dato il proprio apporto a questa tessitura tanto più viva essa sarà. Non servono trine e merletti, ma che le trame siano compatte e solide, cioè filate con pensieri autentici e coerenti con valori vissuti. Se è vero che nessuno è così povero da non poter donare un sorriso, è anche vero che nessuno è così arido da non poter offrire agli altri i propri pensieri.

Lo Stato paga per una scuola pubblica perché vuole che tutti imparino a focalizzare, coltivare e arricchire proprie opinioni e acquisiscano strumenti idonei ad esprimerle. Bene e chiaramente e – aggiungiamo – a tutti. Parlare a tu per tu è idoneo in tanti casi, ma le idee umane hanno bisogno di volare in alto, di essere visibili a tutti, di diffondersi e spargere la propria fertilità ovunque. Ogni idea, di ognuno, merita spazi ampi. Anche quella meno condivisa non è altro che l’idea che nasce da un punto di vista che gli altri non riescono a vedere, ma che c’è.

Ma se «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione» (art. 21 Costituzione italiana), è anche richiesto che il proprio dire mantenga criteri di rispetto reciproco e di verità. La diffamazione è considerata reato sin dai tempi antichi e ovunque: posso dire quello che penso, ma non calunniare, non parlare di fatti di cui non sono certo o di cui non posso riportare fonti attendibili e oggettivamente riscontrabili. Dire è un dovere civico e morale, ma va fatto con onestà, con forza e cautela. «Tu, quando scriverai, lo dovrai fare in ginocchio per amare; seduto per giudicare, in piedi e con forza per combattere e seminare» – recita lo splendido ‘decalogo del giornalista’ del grande Emanuele Lozano Garrido.

E ancora: «Taglia la mano che vuole imbrattare, perché le macchie nei cervelli sono come quelle ferite che non guariscono mai. Ricorda che non sei nato per la stampa a colori (gialla, nera, rossa..). Né confetteria, né piatti forti. Meglio servire il buon boccone della vita pulita e speranzosa, così come è». Chi usa parole vere non ha bisogno di parolacce, chi si sente nel giusto non inveisce. Chi parla con serenità di cuore ed è pronto ad ascoltare il cuore dell’altro non dibatte con violenza, non oltraggia, non schernisce. Dice. E questo è già tutto.

Se scrive, poi, invia il suo regalo al mondo e si affida alla buona stella, che sa dove far posare quelle parole, a chi sussurrarle, e quando. Si sentirà appagato perché non ha riposto la sua piccola grande lampada ‘sotto il moggio’, perché ha scommesso sulla possibilità di dire la sua, di essere capito e di ricevere consensi o consigli o critiche, perché sa che non possiede al verità ma ha il coraggio di cercarla e di non farlo da solo. Sentirà meglio piantati a terra i propri piedi, più vividi i colori della natura, più vicini gli umani. Avrà inciso più a chiare lettere la sua presenza nel mondo.

Tutta la storiografia umana inizia il proprio corso dall’invenzione della parola scritta, tutte le grandi ‘corrispondenze d’amori sensi’ sono affidate alla condivisione di testi scritti, tutti coloro che hanno percepito la sensazione di essersi avvicinati alla verità che cercavano o di vivere un momento cruciale della propria esistenza hanno voluto lasciare parole scritte che dicessero la grandezza di quegli eventi, le emozioni di quei momenti. Scrivere, con cuore sereno e buone intenzioni, guardando con occhio attento dentro se stessi e attorno a sé, è generosità e lealtà verso gli altri e verso chi – da qualche parte nell’universo – ha soffiato in noi il respiro della vita.

Agata Pisana

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