Mai quanto oggi la dimensione individuale e quella universale si intrecciano. La società è investita di domande che riguardano la vita di tutti e di ciascuno. Quali decisioni devono assumere l’Italia e l’Europa rispetto alle minacce geopolitiche della “terza guerra mondiale a pezzi”? In che modo l’umanità può far fronte alla difesa del creato e delle creature di fronte agli epocali cambiamenti in corso? Siamo quotidianamente interrogati da una realtà in turbinosa e insondabile evoluzione. Perciò la bussola più preziosa nella navigazione risulta essere la Dottrina sociale della Chiesa.
“Non vi sembra che abbiamo tutti bisogno di un supplemento di carità? – chiedeva papa Francesco – Non quella che si accontenta dell’aiuto estemporaneo che non coinvolge, non mette in gioco, ma quella carità che condivide, che si fa carico del disagio e della sofferenza del fratello”. E aggiungeva: “La politica, tanto denigrata, è una vocazione altissima, è una delle principali forme della carità perché cerca il bene comune”. Sulle orme del suo predecessore Leone XIV indica la strada dell’impegno comunitario citando Sant’Agostino che parlava di un passaggio dell’uomo “dall’amore egoistico per sé stesso, chiuso e distruttivo” all’amore gratuito che “ha la sua radice in Dio e che porta al dono di sé”. Condividere il cammino del prossimo, quindi, è “l’elemento fondamentale nella costruzione di una società in cui la legge fondamentale è la carità”.
Il Servo di Dio don Oreste Benzi è stato definito proprio “infaticabile apostolo della carità” da Benedetto XIV ed oggi è in causa di beatificazione. Era il mio maestro di vita e lo accompagnavo giorno e notte sulle strade degli ultimi. Quasi vent’anni fa, era precisamente il febbraio 2006, vidi don Benzi inquieto e desideroso di rispondere al Corriere della Sera che aveva stilato una sorta di classificazione politica dei “preti sociali”. Don Oreste, con il suo carattere forte e deciso, non esitò a rispondere per le rime sottolineando che interiormente era in lui “esploso un sentimento di totale rifiuto di queste catalogazioni”. Scrisse di getto: “Non appartengo alla sinistra né alla destra, non mi sento conservatore né progressista! Io mi sento dalla parte dell’uomo così come ce lo ha rivelato Cristo, quel Cristo che proprio per questa rivelazione è stato crocifisso”.
Confesso che all’epoca mi fece un po’ sorridere questo suo bisogno di replicare ma dopo tanti anni questa sua santa impulsività l’ho compresa per quella che nitidamente era: il bisogno di non tacere davanti allo stravolgimento di una missione interamente dedita al bene comune e al sostegno dei fragili. Nessuno sbilanciamento verso una parte politica, bensì una doverosa e spontanea sollecitudine per i temi sociali e un generoso impegno affinché la voce degli ultimi trovi ascolto a ogni livello di rappresentanza istituzionale. Chiunque serva Cristo e sposi la sua Chiesa non parteggia per nessuno e dalla sua mentalità è estranea qualunque appartenenza partitica. I sacerdoti sono cittadini con pari diritti e doveri, quindi anche all’interno della cabina elettorale sono chiamati ad esprimere in coscienza la propria legittima preferenza e, come accade per tutti, possono anche cambiare opinione o fare di volta in volta scelte differenti. Ciò che però deve restare costante è l’attitudine a mettersi sempre e comunque dalla parte di chi soffre, di chi è rimasto solo e abbandonato, di chi non riceve sostegno né accoglienza. Il mandato evangelico resta in qualunque circostanza quello di stare dalla parte dei piccoli e dei poveri, di mettersi in ascolto e al servizio, come insegnava don Benzi, delle “vittime di ogni guerra, perché la guerra non è mai giusta”. E di “stare sempre dalla parte dei disoccupati, degli sfrattati, dei senza dimora”.
Perciò faccio convintamente mie le parole del fondatore della comunità Papa Giovanni XXIII: “Lotto per la liberazione delle decine di migliaia di ragazze schiavizzate per soddisfare gli istinti genitali dei maschi italiani (di destra, di sinistra e di centro). Lotto perché gli anziani siano riconosciuti come soggetti attivi di storia, e nessuno di loro venga lasciato morire da solo in un ricovero, abbandonato anche se ben curato”. In tempo di elezioni anche i sacerdoti, come qualunque cittadino che abbia responsabilità e si impegni nella società, vengono normalmente avvicinati da politici di qualsiasi schieramento con dichiarazioni di intenti e nobili proponimenti. Il Vangelo insegna a non chiudere mai la porta in faccia a nessuno perché il dialogo è un valore in sé e solo Dio conosce e giudica la sincerità dei cuori. La “Chiesa con le porte aperte” raccomandata dal Magistero richiede disponibilità ad ascoltare tutti per raggiungere l’unico obiettivo di rialzare i più fragili. L’interlocuzione con rappresentanti istituzionali e con candidati che si propongono di rappresentare onestamente i propri elettori è necessaria e doverosa per far giungere il grido d’aiuto della parte più vulnerabile della popolazione.
Ciò non significa schierarsi o sostenere un partito o un politico. Non significa prendere parte per alcuno il fatto che personalmente non possa negare la mia gratitudine quando chiunque rappresenti un governo o altre istituzioni nazionali o locali sia in grado di aiutarmi – come è accaduto – a portare in Italia a curare i bambini oncologici di Gaza nei nostri ospedali pediatrici. Oppure a recuperare altre vittime di tratta e di sciagure inenarrabili attraverso la collaborazione di tutti coloro che aldilà delle appartenenze politiche, religiose, ideologiche si adoperano e collaborano per restituire il sorriso e la voglia di vivere di chi aveva perso tutto. Costruire e mantenere buoni rapporti con tutti è il modo per portare il Vangelo anche laddove non è contemplato ma può divenire punto di riferimento attraverso la testimonianza di un credente.
REDAZIONE
FONTE- INTERRIS don Aldo Bonaiuto