ombrello

Postato in data 24 Novembre 2016 Da In Fatti

L’OMBRELLO

Simone era uno scrittore in crisi da tempo, ormai. Dopo il successo del suo primo romanzo di fantascienza “Muro d’acciaio”, non era più riuscito a scrivere niente di decente.

Avrebbe potuto continuare a cimentarsi in quel genere che gli aveva portato fortuna e visibilità, ma la sua fervida fantasia continuava a cozzare contro un “muro d’acciaio” altrettanto resistente e invalicabile come quello descritto nel suo libro.

Dopo mesi di notti insonni e di riflessioni sulla natura di quel blocco di idee che invadeva il suo cervello, realizzò che forse era meglio cercare altrove una fonte di ispirazione che gli consentisse di esercitare degnamente la sua penna e il suo naturale talento.

E così, improvvisamente, una mattina si alzò dal letto con una martellante domanda: “E se invece di dar vita a mondi lontani, avventure apocalittiche e alieni inverosimili, cominciassi a guardarmi attorno e a trovare nelle cose semplici e negli uomini comuni della terra la chiave di accesso a un nuovo tipo di creatività?”

“Il fatto è che le piccole cose – diceva fra sé- non sono molto interessanti per i lettori, ne hanno già le tasche piene di mediocrità, di oggetti usuali e di persone comuni e insignificanti. C’è bisogno di evadere, di sognare, di cavalcare l’immaginazione per fare un volo che offra nuovi stimoli mentali”.

Per questo Simone stentava a intraprendere il suo nuovo progetto di scrittura, aggravando la crescente sfiducia nelle sue capacità di vero scrittore.

Viveva da solo in un appartamentino allocato in un palazzo di una borgata di periferia, non aveva uno straccio di amico e, dopo l’ennesima relazione andata a male, aveva sviluppato una stabile misoginia.

Con l’avvento del pensionamento, l’unica cosa che si era messo a fare per tenere attiva la mente, era stata quella di scrivere.

L’insperato successo del suo primo romanzo lo aveva galvanizzato e gratificato oltre misura. Ma adesso l’euforia era scemata e doveva trovare urgentemente qualcosa che gli ridesse energia e il convincimento inconfutabile di non essere il solito autore che nasce e muore con il suo unico libro.

L’idea di dare spazio alla realtà quotidiana, vista sotto una nuova luce, non lo abbandonava più.

Vagava per la casa e osservava oggetti e cose che potessero fargli accendere l’agognata lampadina. Aprì gli armadi, guardò le foto vecchie e recenti, scrutò i soprammobili e i quadri che adornavano il suo scialbo soggiorno.

Gli pareva che i ricordi si fossero nascosti dietro le cose e che nella sua vita non ci fosse mai stato niente di così straordinario che valesse la pena di raccontare.

Delle donne conosciute non era rimasta alcuna traccia.  Buttando ogni oggetto sgradito del passato nella spazzatura, si era liberato dei ricordi che costituivano le prove schiaccianti del totale fallimento della sua vita sentimentale.

Andò in bagno e si guardo allo specchio, scrutandosi. Vide il suo grande naso e si ricordò del complesso che aveva accompagnato la sua adolescenza. Avrebbe dato qualsiasi cosa per cambiare quel naso, ma se l’era tenuto a malincuore tutta la vita.

Osservò i suoi denti e gli venne in mente il conto salato che gli aveva consegnato il dentista dopo la cura. La cicatrice nel sopracciglio destro testimoniava la sua brutta caduta dalla bicicletta quando aveva dieci anni. C’era ben poco da recuperare dal suo passato.

Niente, “radiografando” la sua faccia e scavandosi dentro, non trovò proprio nulla che potesse diventare stimolante oggetto di narrazione, se pur condita da qualche fantasioso ricamo letterario.

Forse doveva uscire da quella casa e da se stesso, osservando gli altri e il mondo che lo circondava come mai aveva fatto prima.

Gli venne voglia di fare una passeggiata a piedi.

L’ascensore non funzionava. Per le scale incontrò l’ anziana vicina che scendeva appoggiandosi al suo bastone. Il bastone, ecco! Poteva essere un’idea. Associare le cose alla loro specifica funzione. E anche il passeggino in cui troneggiava il viso paffuto del bambino della tizia del terzo piano era un ottimo esempio di oggetto funzionale allo scopo.

Le auto che sfrecciavano per la strada erano modelli di una tecnologia divenuta vitale per il genere umano. Ma come poteva trasfigurare questi oggetti per trovarne una nuova valenza?

Mentre rimuginava fra sé, lo colse un temporale improvviso. La pioggia si riversò a fiumi sulla città e Simone si pentì d’essere uscito frettolosamente di casa. Era già distante dalla sua abitazione, tornare indietro non era possibile, doveva trovar riparo da qualche parte se non voleva diventare una spugna. Non c’erano negozi aperti, non c’erano bar o portici nei paraggi.

“Mi potevo portare un ombrello”- pensò irritato – È sempre così. Quando previdentemente me lo porto appresso, non piove. Se lo lascio a casa, piove”.

A un certo punto, osservò il marciapiede deserto. In un angolo c’era un tale che si dava da fare per ripararsi sotto un grande ombrello colore arcobaleno. Aveva ammucchiato i suoi accendini e i suoi pacchi di fazzoletti da venditore ambulante che cercava di rifilare a fumatori smemorati e a raffreddati occasionali.

L’uomo che ci stava sotto lo guardò e gli fece cenno di avvicinarsi.

— Se vuoi, qui c’è posto… — farfugliò appena lo raggiunse.

Simone si rannicchiò accanto a lui e percepì l’odore sgradevole che proveniva dai vestiti del suo vicino dai tratti somatici orientali.

Lo sbirciava e ne coglieva lo sguardo spento e rassegnato al peggio. Avrebbe voluto parlare, ma da perfetto cafone non riuscì neppure a dirgli “grazie”.

Vicini sotto la tempesta, coperti da quel bizzarro ombrello variopinto, ascoltarono in silenzio il rumore della pioggia battente.

Poi tutto cessò.

— Bene — disse Simone — è ora che torni a casa…

L’uomo non rispose, ma abbozzò un tenue e stiracchiato sorriso. Forse pensava alla sua casa lontana o a quella che avrebbe voluto avere. Simone inaspettatamente avvertì un nodo alla gola.

— Senti, — aggiunse d’istinto — se sei solo, ti posso offrire un bel piatto di ceci. Ne ho una pentola piena. Ci riscalderemo e faremo quattro chiacchiere. In fondo, devo pur trovare un modo per ringraziarti della tua gentilezza.

L’uomo gli puntò addosso due occhi sorpresi e spiritati, come se avesse udito la cosa più strana del mondo. Chiuse l’enorme ombrello e sistemò il suo arsenale di accendini dentro uno zaino scuro.

S’incamminarono uno accanto all’altro parlando di cose futili, tanto per sciogliere un po’ l’imbarazzo dell’insolita circostanza. Simone non riusciva a staccare gli occhi dalla mano che teneva goffamente l’ombrello e che frusciava sul suo braccio come una carezza.

E la triste storia, da straniero emarginato e solo, che gli raccontava strada facendo, lo riempiva di pena e di incredulità.

Ecco, forse aveva trovato una luce nuova da cui osservare un aggeggio comune come l’ombrello: da “riparatore di pioggia” a “strumento di solidarietà”.

Si rallegrò pensando alla zuppa di ceci fumante da divorare in compagnia e al suo primo racconto che avrebbe scritto di lì a poco in una delle sue lunghe notti insonni.

Angela Di Salvo

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