Postato in data 8 Agosto 2019 Da In Spettacoli

L’APPARTAMENTO DI VIA L. DA VINCI di Paola Stella

Paola Stella nata a Monterosso Almo è laureata in Scienze Biologiche, ma ha sempre avuto la passione della scrittura trasmettendo nelle sue fiabe la sostanza della vita. E’ innamorata soprattutto della narrativa dei grandi scrittori dell’800, russi, tedeschi, francesi e italiani. Nel periodo di docenza nelle scuole medie ha rivestito il ruolo di tutor di laboratori teatrali per i ragazzi, per i quali doveva inventare storie e supportare gli esperti nell’allestimento di piccoli spettacoli.

In quel quartiere, d’estate, regnava il silenzio. Tutti andavano via, chi al mare, chi in viaggio. Carolina si era affezionata a quella pace che le consentiva di ascoltare solo la voce della sua anima. Una mattina, all’improvviso, sentì trambusto per le scale e giù nel cortile interno. Incuriosita, avrebbe voluto saperne di più, avrebbe voluto affacciarsi alla porta o al balcone, ma il suo appartamento non dava nel cortile, e non voleva apparire indiscreta. Intuì che qualcuno aveva deciso di traslocare nell’appartamento rimasto vuoto al primo piano, di un vedovo avanti negli anni, il signor Sebastiano, che era andato a finire in una struttura per anziani, Casa Paradiso.
Era tanto gentile il signor Sebastiano, e anche compìto: si toglieva il cappello per salutare, apriva la porta e cedeva il passo, toglieva dalle mani i sacchetti della spesa. Aveva innata quella galanteria di una volta. Morta la moglie e rimasto solo, per tenere in ordine la sua casa faceva venire una donna sulla quarantina, Giovanna, energica e lavoratrice.

Il signor Sebastiano aveva sofferto molto quando era venuta a mancare improvvisamente sua moglie, affettuosa e bravissima donna, amata da lui infinitamente. Tuttavia, non si era perso d’animo, dopo un po’ aveva ripreso ad uscire per le sue passeggiate: gli piaceva comprare ogni giorno il pane fresco e il giornale, e quindi capitava d’incontrarlo e di scambiare qualche parola. Certamente soffriva la solitudine. I suoi figli? Beh, si sa… i figli…sono sempre molto occupati… Ogni tanto lo andavano a trovare, ma quando il padre ebbe un ictus, che gli provocò una mezza paralisi, si decisero subito a ricoverarlo a Casa Paradiso. Lì non sarebbe mai stato solo, c’erano sempre un medico e degli infermieri a disposizione, e loro si sarebbero sentiti più tranquilli. Insomma, questi figli non persero tempo ad affittare o vendere l’appartamento. A Carolina dispiacque non incontrare più il signor Sebastiano, e qualche volta lo andava a trovare a Casa Paradiso.
Dunque ci sarebbero stati altri inquilini!?

Carolina non era invadente e aspettava il momento giusto per fare conoscenza e mettersi a disposizione nel caso fosse servito qualcosa. Già dall’indomani sentì della musica, sebbene l’appartamento fosse dall’altro lato, ma in estate si tiene tutto aperto, e le note si sparsero nell’aria. Qualcuno dei nuovi arrivati suonava la chitarra. Chi poteva esserci dietro questo stumento? Che volto aveva? Com’era di carattere?
In uno dei giorni seguenti al trambusto capitò a Carolina di incontrare, giù all’ingresso, un signore di media età con un ragazzo sui sedici-diassette anni. Si salutarono e si presentarono. L’uomo disse di abitare al primo piano solo da qualche giorno e il ragazzo era suo figlio. Carolina non si era accorta subito che il ragazzo, vuoi per i capelli lunghi che gli coprivano il viso vuoi per gli occhiali scuri che portava, fosse cieco. In effetti, non aveva risposto al saluto della mano, ma lei aveva pensato che ai ragazzi queste cose risultano fastidiose e che l’aveva evitato. Il ragazzo, Marco, portava a tracolla una chitarra acustica, e Carolina, dopo aver dato la propria disponibilità per eventuali imprevisti o necessità, considerato che nel palazzo non c’era nessun altro, disse che era molto contenta di avere un vicino di casa chitarrista. La chitarra era il suo strumento preferito, a casa ne aveva una perché anche suo figlio la suonava, ma purtroppo era andato a lavorare a Milano, e non la suonava più nessuno. Il padre del ragazzo, Dario Presti, ringraziò per la gentilezza, e aggiunse che si sarebbero fermati lì solo per un certo periodo, e poi sarebbero ritornati nella loro città.

In realtà avevano preso in affitto l’appartamento del signor Sebastiano, già ammobiliato, perché vicinissimo alla sede dell’Associazione ciechi. Dario raccontò a Carolina che Marco era rimasto cieco da poco a seguito di un incidente con il motorino, e ora avrebbe dovuto imparare a leggere in Braille e ad usare il bastone lungo per muoversi. Il ragazzo era rimasto traumatizzato e trovava conforto solo nella musica. Per fortuna riusciva a suonare anche senza vedere. Carolina si mostrò molto dispiaciuta per quella tragedia, e disse che ne avrebbe potuto parlare a suo fratello, bravo oculista in un ospedale all’avanguardia di Siena, dove facevano esperimenti di trapianti di cornee, molti dei quali con ottimi risultati. Marco finalmente sorrise, la ringraziò, aprì le braccia e si prontò per un abbraccio.

Una mattina Carolina, sul balcone per stendere i panni, si accorse che sul marciapiede di fronte, vicino alla sede dell’Associazione ciechi, c’era Marco con un lungo bastone bianco. Assieme a lui un uomo che gli dava indicazioni: il suo istruttore. Faceva tenerezza quel ragazzo dal passo incerto, barcollante.
A Carolina vennero in mente i primi passi del suo bambino, e pensò che forse si trattava di una cosa simile. Marco era costretto a fare i conti di nuovo con lo spazio, l’equilibrio, gli ostacoli da scansare, i gradini… Si trattava quasi d’imparare di nuovo a camminare, affidandosi, questa volta, alle indicazioni di un bastone speciale. Si sentiva l’istruttore incoraggiare Marco ad andare più veloce, a scendere dal marciapiede e ad attraversare la strada, perché non c’era nessun pericolo, nessuna macchina. Ma Marco esitava, era spaventato.
Carolina, fino a quel momento, non aveva mai assistito a scene simili, provò tanta pena per quel ragazzo.
Nel pomeriggio preparò una crostata alla frutta con la crema pasticcera, sicura del successo, e scese al primo piano.

Già per le scale si sentiva la chitarra di Marco, stava suonando un bellissimo brano di Eric Clapton, Wonderful Tonight. Carolina aspettò che lo concludesse e suonò il campanello. Venne ad aprire Dario, che la fece accomodare in cucina. Carolina si rese conto che non era mai entrata in quella casa, che non sapeva quasi niente di dove e come vivesse il signor Sebastiano. Le fece una certa impressione, e se lo immaginò in quell’ambiente. Dario e Marco, che nel frattempo si era avvicinato sorridendo, si sedettero al tavolo insieme a Carolina per assaggiare quella profumatissima crostata alle pesche. In effetti la gradirono moltissimo, Marco fece pure il bis. Dario, senza parlare, fece cenno a Carolina di quanto fosse contento di questo e fece capire a gesti che Marco mangiava poco ed era preoccupato. Si misero a chiacchierare di musica, e Carolina, per catturare la simpatia di Marco, nominò tutti i chitarristi rock che piacevano a lei, sperando che almeno alcuni coincidessero con i suoi. In effetti su Carlos Santana, Eric Clapton, Bruce Springsteen e Mark Knopfler dei Dire Straits si trovarono concordi, poi lui nominò chitarristi giovani che lei non conosceva. Il discorso si chiuse e Marco riprese a suonare nel soggiorno, mentre Dario e Carolina rimasero ancora qualche minuto a parlare. Lei chiese se per caso avessero bisogno di un aiuto in casa, perché avrebbe potuto dirlo a Giovanna, la donna che aiutava il signor Sebastiano, che fra l’altro era senza lavoro.

Lui rispose di sì, che sebbene fosse in ferie proprio per potere accudire meglio suo figlio, un aiuto gli avrebbe fatto comodo. E poi, senza che lei chiedesse nulla, anche se in verità moriva dalla curiosità di sapere, lui parlò della moglie. Disse che si erano presi una pausa, che lei lo aveva accusato di avere la colpa dell’incidente di Marco, perché era contraria all’uso del motorino fuori città per raggiungere o partire dalla loro casa di campagna, invece lui l’aveva spinto a provare, a vincere la paura. Marco aveva ancora poco più di quindici anni (a Carolina era sembrato più grande, perché era alto e con l’espressione matura) e guidava il motorino solo da pochi mesi, inoltre non era un ragazzo intraprendente, era timido e introverso. Il padre era sempre in contrasto con la madre: lei sempre troppo protettiva e ansiosa, lui invece voleva che il ragazzo crescesse coraggioso, che si assumesse le sue responsabilità, che fosse prudente ma non imbranato. Ebbene, l’incidente capitò proprio lungo la strada, molto trafficata, tra la loro campagna e la città dove abitavano. Dopo l’incidente e il lungo periodo in ospedale, in cui la madre non aveva lasciato neanche per un attimo il figlio, disse al marito che per un po’ avrebbe dovuto occuparsene lui da solo, che si sentiva distrutta, che provava rancore verso di lui, che aveva bisogno di stare sola per un po’.

Dario faceva ogni giorno il pendolare, lavorava in Prefettura, proprio nello stesso ufficio di uno dei figli del signor Sebastiano. Non volendo fare viaggiare tutti i giorni Marco, chiese in ufficio di qualche casa ammobiliata e vicina alla sede dell’Associazione dei ciechi. Il figlio del signor Sebastiano diede subito la disponibilità dell’appartamento del padre.
“Ecco spiegato il fatto” pensò Carolina, che si era fatto un concetto negativo dei figli del signor Sebastiano, che avevano subito fatto entrare degli estranei nella casa paterna.
Dario non chiese niente a Carolina riguardo la sua vita.

Una mattina di qualche giorno dopo, Carolina incontrò per le scale Marco, che si dava da fare con il bastone. Al suo saluto rispose contento e si capiva che volesse chiacchierare un po’. Le disse che riusciva ad orientarsi benino, che da solo andava e veniva dall’Associazione, aggiunse che stava facendo progressi anche con la scrittura in Braille sia nel cartaceo sia nel computer, e che aveva conosciuto due ragazzi con i quali stava facendo amicizia. Marco approfittò dell’occasione per chiedere a Carolina notizie, che avrebbe dovuto avere da suo fratello, per il trapianto. Lei rispose che suo fratello si trovava fuori sede, ma sarebbe rientrato da lì a poco. Aggiunse che contava di parlare con suo padre Dario proprio in quei giorni perché le fornisse una relazione dettagliata sul danno prodotto agli occhi, corredata di tutti gli esami che erano stati fatti, e lei li avrebbe fatti avere a suo fratello. Carolina chiese a Marco se avessero già consultato qualche medico, e lui, rabbuiato, rispose che tutti avevano escluso il trapianto. Carolina, però, gli ripetè che in quell’ospedale di Siena molti trapianti erano perfettamente riusciti, e che dunque non bisognava disperare. L’indomani pomeriggio ritornò a casa loro, Dario non c’era.

Entrando, ebbe di nuovo la sensazione di “vedere” il signor Sebastiano in quelle stanze. Si fermò a osservare meglio tutte quelle cose: i tanti libri, i quadri, i vari oggetti, fra cui una scacchiera in legno, tutta impolverata, posta in un ripiano in alto su un mobile. Poi fu curiosa di sbirciare sulla pila di CD. C’era una interessante raccolta di opere liriche e un’altra di tanghi argentini. Carolina, mentre guardava, diceva a voce alta tutto ciò che vedeva. Ad un tratto Marco si alzò, si avvicinò e protese le mani per toccare gli oggetti di cui lei parlava. Carolina fu felice di poter collaborare. Poi inserì Turandot nello stereo e gli parlò della commozione che l’assaliva ogni volta. Marco non l’aveva mai ascoltata, neanche a scuola. Fu un momento intenso, Carolina si accorse di alcune lacrime che solcarono il suo viso.
Per toglierlo dall’imbarazzo, cambiò discorso, chiese se per caso avesse notizie dei documenti da mandare a Siena, Marco allora si mise a tastare sul tavolo finché non trovò una cartelletta in plastica, quella che cercava. Le disse che si stava accorgendo di come, a poco a poco, si stessero potenziando tutti gli altri sensi, che stava scoprendo tantissime cose nuove, che ora provava gusto a toccare gli oggetti e a “vederli” attraverso le sensazioni che ne ricavava. Carolina esclamò di gioia e lo incoraggiò.
Per le scale, mentre ritornava a casa sua, rifletteva sulla vita futura di questo ragazzo veramente in gamba, al quale si stava affezionando e formulò un pensiero molto originale.

Nel frattempo, riflettè anche sul signor Sebastiano, ora lo conosceva meglio, attraverso la sua casa aveva capito tante cose sulla sua grande ricchezza interiore e le venne desiderio di andarlo a trovare presto.
A Casa Paradiso lo seguivano attentamente e lo curavano bene, aveva infatti recuperato quasi del tutto. Qualche settimana ancora di fisioterapia e sarebbe ritornato autonomo. Appena la vide l’abbracciò (non era mai successo prima), le fece tante domande, le chiese anche di quegli ospiti a casa sua, di cui gli avevano parlato i suoi figli. Carolina gli parlò soprattutto di Marco, destando la sua curiosità. Così gli promise che glielo avrebbe fatto conoscere presto.
Come promesso, Carolina andò a trovare di nuovo il signor Sebastiano a Casa Paradiso, insieme a Marco. I due nuovi amici si misero subito a chiacchierare come se si conoscessero già da tempo. Del resto, Carolina gli aveva già parlato di Marco, e Marco aveva acquisito molte informazioni sull’anziano signore vivendo nella sua casa. Marco, ad un tratto, gli chiese se anche lui si fosse accorto della presenza costante di alcuni uccellini, che stazionavano negli abeti del giardino vicino. A lui capitava di sentirli al mattino presto, quando c’era assoluto silenzio, e voleva sapere i loro nomi. Aveva registrato i versi e voleva farglieli sentire. Il signor Sebastiano fu felice di rispondergli: si trattava, nell’ordine, di merli, pettirossi, cinciarelle, cardellini, capinere. Marco i passerotti, i colombacci e le gazze li sapeva riconoscere.

Anche al signor Sebastiano piaceva ascoltare quei particolari dialoghi che si svolgevano fra un albero e un altro e ogni volta pensava fra sé e sé: “Ma che si staranno dicendo? Vuoi pranzare con me? Guardi tu i piccoli mentre vado a cercare il cibo? Che belle piume hai oggi! Stai attenta, ho visto un bruttissimo corvo nei paraggi!” Risero.
Certo, il signor Sebastiano si stupì di questo interesse di Marco, ma pensò che fosse dovuto anche al fatto che in quella condizione il ragazzo era quasi costretto dall’istinto di sopravvivenza ad acuire l’udito. Molte informazioni sul mondo esterno gli arrivavano proprio da questo senso. Il signor Sebastiano allora raccontò che aveva un nipote, un po’ più grande di lui, che quando era bambino e c’era ancora sua moglie, si fermava a dormire da loro il sabato sera, ma la domenica mattina non aveva mai fatto caso a quei versi di uccelli, neanche quando lui glieli aveva fatti notare. Pensò che si trattasse di una diversa sensibilità. Purtroppo, anche se provava un grande affetto per il nipote, lo vedeva e se lo poteva godere poco. Da quando si trovava a Casa Paradiso era andato a trovarlo solo una volta e per poco tempo. “Eh, si sa… i ragazzi d’oggi vogliono stare solo con i loro compagni. Gli avevo insegnato a giocare a scacchi, ci divertivamo, poi… non ha voluto più giocarci, guardavamo insieme alcune costellazioni nelle sere con il cielo terso, e poi… mi ha detto che si annoiava. Sempre con il cellulare in mano! A questi ragazzi sembra che, potendo raggiungere qualunque parte del mondo con un clic, siano per questo onnipotenti. Danno per scontato l’affetto della famiglia, che invece va costruito con pazienza, e si dedicano a ciò che temono possano perdere se non sono collegati continuamente con le varie chat”.

Marco rispose che lui sarebbe stato felice di averlo come nonno, che non aveva nonni a disposizione, infatti quelli paterni erano morti quando era bambino e gli altri due abitavano in Trentino e non li vedeva mai. Poi, Marco disse che gli avrebbe fatto piacere conoscere sua moglie, che se l’immaginava speciale come lui. A questo punto, sempre Marco, quasi sottovoce, gli confidò una cosa particolarissima, ben conscio della possibilità di non essere creduto: disse che alcune volte aveva avuto l’impressione di sentire come un respiro flebile nella sua casa. Il signor Sebastiano si commosse: “Caro Marco, anche io lo sento, è il respiro di mia moglie. Quando l’ho detto ai miei figli mi hanno preso per pazzo. È per questo che voglio ritornare nella mia casa, per comunicare con lei. Forse ti ha in qualche modo riconosciuto come familiare. Solo io e te la sentiamo.”
Fu un momento molto intenso di comunione fra i due.
Insomma, familiarizzarono su una matrice comune, inoltre ognuno aveva trovato nell’altro una parte mancante di sé. In verità, Carolina aveva già ipotizzato, (questo il pensiero originale che le era venuto qualche giorno prima), che potessero farsi compagnia reciprocamente, così il signor Sebastiano sarebbe ritornato a casa sua e Marco avrebbe potuto continuare il lavoro con l’Associazione.

Carolina, in quei giorni dovette partire per Milano, suo figlio doveva cambiare casa e voleva una mano. In realtà, una volta lì, si rese conto che era una scusa per averla tutta per lui. Se la sarebbe cavata anche da solo, ma a furia di sentirla parlare sempre di questo Marco, si era ingelosito.
Al suo ritorno da Milano, stava già cominciando l’autunno, il quartiere era in pieno movimento e la quiete estiva solo un ricordo. Dario aveva ripreso da un po’ il suo lavoro e Marco era ancora lì, in quell’appartamento.
Sì, in quell’appartamento di via L. Da Vinci dove stava proprio bene: i suoi nuovi amici lo venivano a trovare e suonavano o ascoltavano musica insieme a lui. Ormai si dedicava anche alla lirica, si stava proprio appassionando. Aveva fatto apporre sulla superficie dei CD degli adesivi in rilievo per poterli distinguere.
Quando al suo arrivo Carolina andò a salutarlo trovò la novità in cui aveva sperato: il signor Sebastiano aveva fatto ritorno a casa sua e aveva chiesto a Marco, qualora lo volesse, di rimanere ancora lì con lui, almeno fino a quando non lo avessero chiamato a Siena per l’intervento. Valutati, infatti, tutti gli esami di Marco, l’équipe medica aveva deciso di operarlo, perché riteneva che ci fosse qualche possibilità di riuscita. Marco aveva accettato la proposta di rimanere con il signor Sebastiano come fosse un regalo prezioso e ne fu veramente felice. Riguardo ai suoi genitori: erano ritornati insieme, non senza difficoltà. In effetti la crisi fra loro era cominciata da tempo, era latente, in attesa di esplodere alla prima occasione. Si erano trovati in grave disaccordo soprattutto su come tirar su il loro figliolo, ma era finita che litigassero per ogni minima cosa. Invece di adoperarsi per superare quella crisi con la moglie, Dario, ad un certo punto, aveva deciso di intraprendere una relazione extraconiugale. Se ne era andato per le spicce, evadendo da un ambiente conflittuale con un’altra, senza doversi sbracciare per superare le difficoltà.

L’incidente di Marco aveva creato una voragine fra loro. Quando però Marco decise di rimanere con il signor Sebastiano, senza suo padre, entrambi ebbero una forte scossa, si domandarono se non fosse il caso di lasciare perdere il loro orgoglio e quella intransigenza che li aveva portati ad allontanarsi. Insomma, furono indotti a tentare di ricomporre il loro rapporto, considerato anche che un tempo si erano amati moltissimo, ed era un vero peccato non darsi da fare per ricreare un ambiente affettivamente armonioso sia per loro stessi che per Marco. Decisero di farsi aiutare da uno psicologo, e a poco a poco ci riuscirono.
Di tanto in tanto andavano a trovare Marco, nel frattempo si dedicavano a loro due per ritrovarsi.
La cara domestica Giovanna continuava a prendersi cura della casa del signor Sebastiano, preparava inoltre dei piatti gustosissimi, soprattutto per Marco, al quale si era affezionata moltissimo. Con quelle prelibatezze e con tutto quell’affetto Marco si era irrobustito fisicamente, e quei suoi problemi di inappetenza erano scomparsi. Carolina lo trovò veramente in gran forma, anche psicologicamente, era infatti allegro, e ogni occasione era buona per tirar fuori una straordinaria ironia con il signor Sebastiano che gli faceva da spalla.

Quei mesi furono sia per l’uno che per l’altro densi di un autentico sentimento di amicizia, di emozioni, di arricchimento reciproco unico e incommensurabile in un momento di fragilità di ognuno di loro, tale da trasformarsi in un momento addirittura fortificante per entrambi. Il signor Sebastiano sembrava ringiovanito: parlava, discuteva, si confrontava, giocava, rideva. E Marco? Marco si sentiva confortato, gli sembrava di essere in una bolla, lontano dalle brutture della vita. Aveva dovuto adattarsi ad una vita completamente nuova rispetto a quella di prima dell’incidente, la scansione delle attività della sua giornata era stata stravolta: niente motorino, niente scuola, niente basket, niente computer né cellulare, almeno nel modo in cui li usava prima, niente amici, niente sabato sera…
Ma queste cose gli mancavano sempre meno e aveva rivolto i suoi interessi verso altro. Il signor Sebastiano gli leggeva tante poesie di autori diversi, gli fece conoscere Pablo Neruda, Federico Garcia Lorca, Antonio Machado, e altri ancora. Leggeva benissimo in spagnolo, una lingua così bella, e Marco lo ascoltava incantato. Inoltre gli raccontava le trame delle principali opere liriche. Anche il signor Sebastiano, come Carolina, prediligeva Puccini.
Un giorno, sempre il signor Sebastiano, a proposito di Calaf, l’eroe della Turandot, disse a Marco che ammirava la sua grande tenacia e aggiunse: “Anche quando la situazione sembra disperata, bisogna osare, bisogna lottare per raggiungere il proprio obiettivo, se vi si crede veramente. Vedi… suo padre Tamir l’anziano re tartaro spodestato, la schiava Liù e gli altri che tenevano alla sua vita, fecero di tutto per dissuaderlo dall’accettare la sfida difficilissima degli enigmi di Turandot. Tutti i príncipi che avevano accettato erano stati uccisi, perché non erano riusciti a trovare le soluzioni, e la sfida consisteva nel fatto che il primo che avesse indovinato sarebbe diventato sposo della principessaTurandot, altrimenti sarebbe stato ucciso. Così facendo, lei voleva vendicarsi del torto ricevuto da una sua antenata da parte di un uomo straniero. Ebbene, Calaf sfidò la morte e vinse grazie alla potenza dell’amore, amore che colpì anche Turandot, liberandola finalmente dall’odio che l’aveva resa glaciale e crudele.”

Marco ascoltava, recepiva ed elaborava.
Una sorpresa incredibile per Carolina fu scoprire che in quell’appartamento c’era anche un vecchio mandolino, che non veniva suonato da tanto tempo. Il signor Sebastiano, animato dall’entusiasmo per la presenza di Marco, lo riprese, lo accordò e si rimise a suonare. In presenza di Carolina suonò il “Tango delle capinere”. Che meraviglia! Marco ancora una volta era incantato. Quell’uomo non finiva di stupirlo, aveva davvero infinite risorse.
Qualche giorno dopo il suo arrivo da Milano, Carolina incontrò Giusy nell’androne del palazzo. Era una ragazzina di circa sedici anni, che abitava al quarto piano, molto graziosa, biondina con gli occhi celesti, esile, quasi eterea, ma molto vivace intellettivamente. Carolina fu contenta, non la vedeva da prima delle vacanze. Le chiese, fra l’altro, se avesse conosciuto Marco, il ragazzo del primo piano, lei rispose di sì, d’un tratto le guance le si imporporarono e gli occhi le brillarono.

Giusy soffriva di qualche disturbo alimentare (passava dalla bulimia all’anoressia), glielo aveva confidato una volta sua madre, abbastanza preoccupata. Le avevano regalato un cucciolo di Labrador tenerissimo, e per un po’ di tempo era stata meglio. Poi, di nuovo male. Si sa che per guarire bisogna agire soprattutto sull’autostima e sulla sfera emozionale, quindi, dopo aver notato quel luccichio nei suoi occhi quando aveva nominato Marco, a Carolina venne da pensare: “Vuoi vedere che questi due ragazzi s’innamorano e si aiutano reciprocamente?”
In effetti, da lì a qualche giorno seppe da Marco che avevano cominciato a frequentarsi e che lui si sentiva molto felice. Uscivano insieme per fare lunghe passeggiate, tenendosi per mano, e a volte andavano nel giardino vicino, dove c’era anche un piccolo orto in serra con delle erbe aromatiche. Lei gliele faceva toccare e odorare e lo invitava a riconoscerle. Marco, invece, si era specializzato nel riconoscimento di diversi uccelletti dal loro cinguettio (grazie al signor Sebastiano), così, giocavano con la natura.
A Marco piaceva molto Giusy, aveva intuito i tratti delicati del suo viso e adorava la sua voce e il suo fresco profumo. Chiacchieravano, si confidavano le loro paure, le loro speranze, si scambiavano qualche abbraccio e qualche timido bacio.
Era un rapporto dolcissimo il loro.

Passarono alcuni mesi. Si stava avvicinando la primavera, e Marco fu chiamato a Siena per l’intervento. I medici furono bravissimi, gli fecero recuperare la vista, anche se solo da un occhio. I suoi genitori gli stettero vicino per tutto il tempo. Poi rientrò insieme a loro nella sua città.
Il nonno acquisito gli mancava moltissimo, e anche Giusy. Era però giunto il momento di ritornare nella sua casa, di riprendere a vivere con i suoi genitori.
Il signor Sebastiano s’intristì. Senza di lui avvertì un senso di vuoto grandissimo. Si era innescato un circolo virtuoso tra loro: il signor Sebastiano era diventato più vitale grazie a Marco, e Marco si nutriva della vitalità del signor Sebastiano, diventandolo a sua volta. E ora? Ora non lo avrebbe sentito suonare, non lo avrebbe sentito scherzare, non lo avrebbe visto in giro per casa, muoversi ormai con sicurezza, e tutto il resto…
A volte, quando ascoltava “quel respiro flebile” della moglie si consolava, e pensava che l’avrebbe raggiunta presto.

Ora andava a trovarlo qualche volta anche Giusy, che nel frattempo aveva lasciato perdere di cibarsi solo di semi di kia e di quinoa, di kamut e di tofu, curcuma e zenzero… (!) Accettava quasi tutti gli alimenti, e qualche volta approfittava, in assenza dei suoi genitori, della buona cucina di Giovanna per gustare cotolette, pasta al forno, e tante altre prelibatezze. Aveva messo su qualche chilo ed era diventata ancora più bella. Però, non era più lo stesso. Indubbiamente quell’appartamento era diventato punto di riferimento per diverse persone: Marco, Carolina, Giusy, gli amici di Marco, grazie a quell’atmosfera di ospitalità e di serenità, ma anche di libertà di espressione che vi si respirava. Quando Marco ritornato da Siena, rientrò nella sua città, molte cose cambiarono. Alla malinconia per la sua mancanza si aggiunse un secondo ictus. Questa volta il signor Sebastiano non si riprese. Uno degli ultimi giorni, già debolissimo, disse con grandissimo sforzo a Marco, che era andato a trovarlo come sempre, che gli era infinitamente grato per la luce che gli aveva trasmesso (disse proprio “luce” rivolta ad un ragazzo che non poteva riceverla ma riusciva a trasmetterla) e per aver arricchito di vita l’ultimo frammento della sua esistenza. Marco, da parte sua, aveva ricevuto da lui tutto ciò di cui aveva bisogno, tutto!
Fu per il ragazzo un colpo durissimo.

Marco e Giusy si frequentarono ancora per un po’, si erano affezionati moltissimo, ma erano ancora troppo giovani per un legame duraturo. Era giusto che facessero le loro esperienze. Rimasero però molto amici.
In quanto a Carolina, si trasferì a Milano per godersi il nipotino appena nato.
Marco crebbe, diventò un grande musicista ed entrò a fare parte di una importante orchestra di Torino. Si sposò con una poetessa, e Giusy fece da testimone al loro matrimonio.
Quando ebbero il primo figlio lo chiamarono Sebastiano.

Paola Stella

 

Cosa dicono di lei:

Giovanni Scifo Prezioso “ordito narrativo”. Un raffinato racconto che scorre via fluido e avvolgente.

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