Postato in data 5 Agosto 2019 Da In Spettacoli

LE VICENDE DI DOMENICO di Paola Stella

Paola Stella nata a Monterosso Almo è laureata in Scienze Biologiche, ma ha sempre avuto la passione della scrittura trasmettendo nelle sue fiabe la sostanza della vita. E’ innamorata soprattutto della narrativa dei grandi scrittori dell’800, russi, tedeschi, francesi e italiani. Nel periodo di docenza nelle scuole medie ha rivestito il ruolo di tutor di laboratori teatrali per i ragazzi, per i quali doveva inventare storie e supportare gli esperti nell’allestimento di piccoli spettacoli.

Il racconto.

Domenico era il primo di quattro fratelli. Suo padre possedeva un bellissimo negozio di tessuti in una via centrale di una città siciliana. Tutto era filato liscio fino a quando comparvero i primi grandi magazzini e i mercati, e la gente preferì acquistare gli abiti confezionati, che avevano dei costi molto convenienti per le famiglie: non c’era più bisogno di comprare la stoffa e di andare dai sarti per farli cucire. È vero che la qualità era senz’altro più scadente e non sempre i vestiti di un figlio si potevano passare agli altri più piccoli, però i prezzi più bassi consentivano ai componenti di una stessa famiglia di averne di più a testa. Al negozio continuarono ad andare solo le signore altolocate, che indossavano capi esclusivi di sartoria e non di massa, sempre di meno però. Per il padre di Domenico, iniziarono tempi brutti, e anche se s’industriò per tenere vivo il negozio, vendendo anche lui qualche capo d’abbigliamento già confezionato (ma la concorrenza era feroce), biancheria intima e prodotti da merceria, gli affari non andavano bene.

Furono licenziate quasi tutte le commesse, e Domenico fu costretto a cambiare lavoro. Lui c’era nato in quel negozio, e aveva imparato il mestiere, quindi si dispiacque parecchio, anche perché si era innamorato di una delle commesse, Agnese, molto carina e in gamba, che contava di sposare. Domenico non si perse d’animo, era abituato a lavorare, gli piaceva, era allegro e pieno di vita, mite di carattere, accontentava sempre tutti ed era ben voluto in città. Tante ragazze gli correvano dietro, ma lui aveva sempre avuto occhi solo per Agnese. Trovò quasi subito un lavoro da camionista e aiutò la famiglia a tirar su i tre fratelli, due dei quali ancora dovevano ultimare la scuola dell’obbligo, e il terzo, bravissimo e studioso, a proseguire gli studi all’università. Così si mise a viaggiare per alcune città dell’Italia, una della Svizzera, e una al confine con l’Austria, dove si fermava ad intervalli regolari per rifornirsi o consegnare merce, sempre alle stesse ditte.

Domenico era un bel ragazzone bruno, con i capelli ricci, occhi neri ridenti, non tanto alto, ma robusto e in buona salute, e, con il suo carattere gioviale e l’animo gentile, catturava la simpatia, la benevolenza e la stima di tutti quelli con cui aveva a che fare per motivi di lavoro. In quasi ogni città, dove andava a recapitare o a prendere merce, aveva una ragazza, anche all’estero. Tutte lo amavano e ogni volta lo accoglievano a braccia aperte, compresa Agnese, ignara di queste altre presenze nella vita di Domenico oltre alla sua. Lui non era affatto quello che si dice un conquistatore di donne, un dongiovanni. Per la verità, non aveva fatto nulla per sedurle, erano state queste donne ad affezionarsi a lui e ad offrirgli ospitalità in casi particolari, per esempio in occasione di una brutta e lunga tempesta, che non gli aveva consentito di ripartire subito, un’altra volta per un guasto al motore, e cose così. E poi erano rimasti amici e avevano continuato a frequentarsi. Lo desideravano e lui non voleva scontentarle.

Nel frattempo, doveva tener fede all’impegno con Agnese, che naturalmente era quella che amava veramente, ma rimandava il matrimonio per poter mettere da parte una bella sommetta. Per Domenico, che era puro d’animo (anche troppo!), quelli non erano veri tradimenti, non aveva sensi di colpa, e non sentiva neanche la necessità di confessarli ad Agnese, li considerava semplicemente dei piccoli regali della vita.

Queste ragazze, che periodicamente frequentava, avevano delle caratteristiche comuni, non erano impegnative, non gli chiedevano niente della sua vita privata, non pretendevano niente da lui, gli volevano un gran bene, e quando arrivava presso di loro erano pronte ad accoglierlo. In quelle poche ore a disposizione, mangiavano insieme, a volte andavano al cinema, oppure passeggiavano e poi facevano l’amore. Vuoi per una cosa vuoi per un’altra, si trattava, nella maggior parte dei casi, di donne sole, bisognose di affetto: una, per esempio, era rimasta vedova, un’altra, segretaria in una delle ditte, si era lasciata con il fidanzato, un’altra gestiva una pensione di una città svizzera, dove la prima volta si era fermato a dormire per la tempesta, questa parlava francese, un’altra faceva la cameriera in una trattoria al confine con l’Austria, e parlava tedesco, infine, un’altra era commessa di un negozio all’ingrosso, dove andava per prendere merce per suo padre. In sostanza, queste donne erano distribuite in punti strategici del suo normale itinerario di lavoro, e questa forma di ospitalità che riceveva la ricambiava con qualche regalino (era anche generoso), ma soprattutto donando a sua volta il suo tempo, la sua allegria e un po’ di tenerezza.

Questa vita andò avanti speditamente per alcuni anni, fino a quando il telefono a gettoni e il telefono con il filo furono soppiantati dal cellulare. Ecco, invece di rivelarsi un vantaggio, per lui diventò un inferno: incominciò a ricevere telefonate in continuazione, a confondere tra di loro le voci delle ragazze, tranne quella tedesca e quella francese, scambiava i nomi, era diventato sempre rintracciabile. Queste donne lo cercavano a tutte le ore, soprattutto Agnese, per poter sentire almeno la sua voce. Proprio lui che non aveva mai mentito in vita sua, incominciò a farlo, si contraddiceva e non riusciva ad uscirne. Per la prima volta sentì di stare ingannando la sua fidanzata, diventò triste. Entrò in crisi ed ebbe bisogno di un periodo di riposo per riflettere, pentirsi, chiedere scusa. Simulò dei fortissimi dolori alla schiena che lo costringevano a letto e volle essere lasciato in pace. Durante la prima lunga dormita, Agnese, che gli era vicino, rispose ad una chiamata al cellulare di Domenico, era la cameriera con l’accento tedesco che chiedeva di lui, poi fu la volta di tutte le altre. Lei diceva sempre che Domenico si era ammalato e che non poteva rispondere. Naturalmente si scrisse tutti i loro numeri.

Agnese aveva a poco a poco preso coscienza della situazione, ma amava sinceramente Domenico e non se la sentì di fare scenate di gelosia, o tragedie greche, e, cosa fondamentale, si sentiva ricambiata. Era molto saggia e intelligente, ma soprattutto non voleva perdere l’amore della sua vita. Si rese conto che il malessere di cui soffriva Domenico si sarebbe potuto curare solo con il suo affetto e la sua comprensione, e continuò a curarlo e a rassicurarlo. Nel giro di un mese Domenico si ristabilì.

Nel frattempo, il negozio del padre si era ripreso alla grande, ora vendevano anche casalinghi. Due fratelli avevano già trovato lavoro come operai in un’azienda d’infissi di alluminio, mentre l’altro stava per laurearsi, e siccome il padre era anziano e voleva ritirarsi, Domenico avrebbe preso il suo posto, e avrebbe lasciato il lavoro di camionista. Ora non restava che decidere la data delle nozze, lui non vedeva l’ora di sposare Agnese, che si era rivelata veramente una buona compagna, ed era affettuosissimo e appassionato verso di lei. Ma Agnese volle parlare e confidarsi con un prete, famoso per i suoi consigli saggi.

Lui le disse che doveva, prima di fare il passo importante del matrimonio, cercare di capire se l’aveva perdonato, se il suo amore fosse del tutto libero da rancori verso Domenico, da gelosie verso le donne che aveva avuto, sentimenti che alla lunga si sarebbero incancreniti e avrebbero potuto erodere il loro rapporto. Agnese, riflettendo a lungo, pensò che l’unica prova da superare fosse quella di incontrare queste donne, di parlare con loro e di misurare il suo grado di sicurezza nel confronto fisico e spirituale. Organizzò, dunque, nei dettagli, addossandosi non solo le spese ma anche la responsabilità di questa decisione, un incontro con tutte loro, ovviamente all’insaputa di Domenico. Scelse una città facilmente raggiungibile da tutte quante, anche da quella svizzera e da quella austriaca, con il pretesto di parlare di cose importanti che riguardavano Domenico. Tutte le donne accettarono e si incontrarono in un alberghetto nel centro di Roma.

Tranne Agnese, ciascuna di loro non sapeva delle altre, e quando si ritrovarono nello stesso luogo, si guardarono in cagnesco. Agnese si dimostrò una vera leader, al di sopra di tutte, diresse e moderò la conversazione, che inizialmente fu molto movimentata. Dai racconti delle donne ebbe un quadro chiaro della situazione.

Si creò un clima surreale, allegro: ognuna diceva un particolare di Domenico che le altre non conoscevano. Vennero fuori tanti volti di Domenico. Si scoprì, però, una cosetta comune: dopo che facevano l’amore, lui desiderava sempre un dolcino, un biscottino. Agnese non conosceva questo vezzo. A poco a poco, si lasciarono andare anche su particolari intimi, diversi per ognuna di loro. Insomma, pur essendo estranee, si aprirono, e Agnese, invece di scandalizzarsi, acquisiva dati da utilizzare per rendere più felice Domenico.

In fin dei conti, queste donne gli avevano voluto bene, ognuna a modo proprio, gli avevano dato conforto e ristoro quando era lontano dalla sua casa. Provò quasi gratitudine per loro, anche perché non erano cattive donne, inoltre, ciascuna di esse credeva di essere l’unica, non c’era stata malizia. Scoperte tutte le carte, invece di sentirsi arrabbiate, ingannate, invidiose, gelose, le une con le altre, si sentirono “unite” da un unico filo, avevano attraversato un frammento della loro vita con uno stesso uomo, bello, buono, gentile, con il quale si erano scambiati dell’affetto reciprocamente. Del resto, Domenico non aveva mai promesso nulla a nessuna di loro, e non avevano niente da recriminare. Fu senz’altro una esperienza al femminile molto interessante per tutte. L’indomani ne approfittarono per visitare Roma, alcune di loro non la conoscevano, e fu bellissimo. Al momento dei saluti, Agnese disse a chiare lettere che da quel momento non avrebbero più dovuto cercarlo, che Domenico era ritornato a fare il commerciante nel negozio di famiglia e che si sarebbero sposati da lì a poco. Infine, comunicò che gli aveva regalato un cellulare nuovo con un altro numero.

Agnese aveva superato la prova, si rese conto di non provare gelosia per nessuna di quelle donne, che non si sentiva di considerarle “amanti” nel senso dispregiativo del termine. Nessuna di loro aveva avuto intenzione di ferire qualcuno o “rubare” fidanzati. Erano state delle semplici e temporanee compagne di viaggio.
Domenico e Agnese si sposarono e il loro fu un matrimonio molto felice.

 

P.S.

Dicono di lei:

Franco Cilia Tu sei straordinariamente brava! Io di caffè un po’ ne capisco… La teoria delle 4 M dice che per fare un buon caffè occorre una buona Miscela, una buona Macchinetta, un buon Macinino, una buona Mano.

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