Postato in data 29 Giugno 2021 Da In Sport

IL VIAGGIO DI ROMELU LUKAKU PER DIVENTARE NUMERO UNO

Storia breve del più forte attaccante che la nazionale belga abbia mai avuto. Venerdì sera sul prato dell’Allianz Stadium di Monaco di Baviera sarà lui il pericolo più grande per gli azzurri di Mancini

Venerdì sera alle 21, sul prato della Allianz Arena di Monaco di Baviera, il pericolo numero uno per l’Italia sarà lui, Romelu Lukaku, attaccante dell’Inter e della nazionale belga, avversario degli Azzurri nei quarti di finale di Euro 2020. Prima dell’arrivo in Serie A, l’attaccante non era completamente entrato nei radar degli appassionnati italiani di calcio. Aveva avuto stagioni di alti e bassi in Gran Bretagna nonostante un fisico straripante, una capacità di corsa unica e un’innata predisposizione alla lotta.

Il suo curriculum, colmo di reti, si portava dietro anche tanti dubbi sulla sua continuità di rendimento e qualche punto interrogativo sulla sua indole e sul suo comportamento. Focoso, forse troppo. Per consacrarsi definitivamente ha quindi dovuto aspettare l’incontro con Antonio Conte, suo estimatore da sempre, che lo ha reso all’Inter uno degli attaccanti più forti del mondo. Senza più alcun dubbio.

Ma la mentalità, alla base di tutto, c’era già. La carriera di Lukaku, infatti, può essere riassunta in due numeri, 251 gol segnati in 508 partite, ma è il viaggio, da Anversa a Milano, sconosciuto ai più fino al 2018, che racconta il fuoco che arde ogni qualvolta “Big Rom” scende in campo. La poverta’, la lotta continua al razzismo, la rabbia covata per anni.

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© ANATOLY MALTSEV / POOL / AFP

Romelu Lukaku

È stato lo stesso Lukaku a volersi raccontare in un articolo scritto di proprio pugno e affidato, proprio tre anni fa, al sito ‘The Players Tribune’. “Mi ricordo esattamente il momento esatto in cui siamo rimasti al verde. Riesco ancora a vedere mia madre accanto al frigorifero e lo sguardo sul suo viso“.

Lukaku ha sei anni e il menu a casa sua è sempre lo stesso: pane e latte. A volte, nelle settimane peggiori, il latte viene mescolato con l’acqua per farlo durare più a lungo.

L’attaccante belga è nato ad Anversa ma la sua famiglia è originaria di quello che veniva chiamato Zaire, oggi Repubblica Democratica del Congo, ex colonia belga. Il papà era un calciatore, di discreto livello, tanto che vanta diverse presenze nella Nazionale di quel Paese africano che ora, formalmente, non c’è più.

Quando finisce la sua carriera in Belgio, però, finiscono annche i soldi. Romelu racconta della televisione via cavo che sparisce da un giorno all’altro, privandolo della possibilità di guardare le partite, dell’elettricità razionata, delle difficoltà economiche. Ma è proprio l’aver visto sua madre in quello stato che ha fatto scattare qualcosa nella mente del piccolo Lukaku.

“Le persone nel calcio amano parlare di forza mentale. Beh, sono il tipo più forte che tu abbia mai incontrato. Perché ricordo di essermi seduto al buio con mio fratello e mia madre, dicendo le nostre preghiere e pensando, credendo, sapendo… quel che sarebbe successo”. Ovvero, giocare nell’Anderlecht, la squadra più conosciuta e vincente del Paese. Una promessa mantenuta a 13 anni quanto ‘Rom’ entrerà a far parte delle giovanili della squadra di Bruxelles per poi approdare in prima squadra nel 2009, a sedici anni, l’età per firmare un contratto da professionista.

Undici giorni dopo, il 24 maggio 2009, fa il suo debutto nella massima serie. Tre mesi dopo, il 22 agosto, alla terza giornata di campionato, a 16 anni e 101 giorni, segna il suo primo gol tra i professionisti contro lo Zulte Waregem. “Ti dico una cosa”, scrisse ancora ai suoi lettori “ogni partita che ho giocato è stata una finale. Quando giocavo nel parco, era una finale. Quando giocavo durante una pausa all’asilo, era una finale. E sono dannatamente serio”.

Unico desiderio di allora era calciare la palla più forte che poteva. “Nessun tiro di precisione. Non avevo una playstation e non giocavo a Fifa. Stavo cercando di uccidere il mio avversario“. Lukaku è cresciuto in fretta anche fisicamente tanto che, le sue origini e la sua stazza, gli hanno creato molti problemi durante i suoi primi anni al Lierse, la sua prima squadra da bambino.

“Quando avevo 11 anni uno dei genitori dell’altra squadra ha letteralmente cercato di impedirmi di scendere in campo. Diceva frasi tipo ‘Quanti anni ha questo ragazzo? Dov’è il suo documento d’identità? Da dove viene?’ E io pensavo: da dove vengo? Sono nato ad Anversa. Vengo dal Belgio”. E non fu un episodio isolato. “Ho imparato presto a difendermi da solo. Prendevo il mio documento d’identità dalla borsa e lo mostravo ai genitori”.

 

Ed è sempre la rabbia a guidarlo in quei primi anni di formazione e sviluppo. “Ero in missione. Volevo diventare il miglior giocatore belga. Non un giocatore bravo, il migliore”. A 12 anni segna 76 gol in 34 partite. Più di due a partita e “indossando le scarpe di mio padre non appena diventavano della misura giusta”. Da professionista segna 29 gol in 55 partite in due stagioni. È uno dei prospetti più interessanti del panorama europeo ma, soprattutto con il Belgio, nonostante la giovanissima età, le sue prestazioni non sono sfavillanti. Le critiche allora lo colpiscono su quello che ancora fa più male, le sue origini: “Quando le cose andavano bene, leggevo articoli sui giornali dove mi chiamavano Romelu Lukaku, l’attaccante belga. Quando le cose non andavano bene, mi chiamavano Romelu Lukaku, l’attaccante belga di origini congolesi“.

Rabbia, ancora. “Se non ti piace il modo in cui gioco, va bene. Ma sono nato qui. Sono cresciuto ad Anversa, a Liegi e a Bruxelles. Sognavo di giocare per l’Anderlecht. Ho sognato di essere Vincent Kompany. Inizierò una frase in francese e la finirò in olandese, e aggiungerò un po’ di spagnolo o portoghese o lingala, a seconda del quartiere in cui ci troviamo. Sono belga”.

Poi il trasferimento in Inghilterra, a Londra. Nel 2011 con il Chelsea di Fernando Torres non trova quasi mai spazio. Dodici partite, zero gol. Va in prestito a Birmingham, al West Bromwich Albion. La squadra arriva ottava anche grazie ai 17 gol di quel 19enne affamato che, nella prima vera giornata di gloria inglese, segna una tripletta al Manchester United. A Stamford Bridge però non hanno la pazienza di aspettarlo. Finisce a Liverpool, sponda Everton, prima in prestito e poi in maniera definitiva. Il costo del cartellino è 28 milioni di sterline, l’acquisto più caro del club fino a quel momento. Segna 87 gol in 166 partite in quattro stagioni.

Nel 2017, ormai 24enne, è un calciatore maturo pronto di nuovo a calcare grandi palcoscenici. Accetta così l’offerta del Manchester United che lo paga cira 75 milioni di sterline. Ma con Mourinho prima e Solskjaer dopo il rapporto non è sempre idilliaco. Spesso viene escluso, altre volte sostituito. Nonostante ciò con la maglia dei ‘red devils’ arrivano 42 gol in 96 partite. Poi nell’agosto 2019 arriva la chiamata di Antonio Conte. Lukaku non ci pensa su troppo e fa le valigie in direzione Milano.

E cambiando campionato e squadra la sua vena realizzativa sembra persino trovare nuova linfa: 64 gol in 95 partite fanno di lui uno degli attaccanti piu’ forti della nostra Serie A. E il Belgio? Beh.. lungo questo percorso Lukaku ha coronato il suo sogno iniziale: con 63 reti, in 97 presenze, è diventato il bomber più forte della nazionale belga. Non un attaccante semplicemente bravo ma il più forte di tutti. Uno che non ha più bisogno di mostrare la carta d’identità per essere riconosciuto.

DI REDAZIONE ( FONTE AGI)

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