Postato in data 15 Aprile 2019 Da In News

Il GOLGOTA DI TRIPOLI

Le gravi conseguenze del conflitto libico e la drammatica richiesta dei medici. L’appello di don Buonaiuto per una evacuazione umanitaria

La prima vittima della guerra, si sa, è la verità e così il male senza tempo continua a crocifiggere innocenti. Tra i numerosi “Golgota contemporanei”, uno è particolarmente vicino a noi, per ragioni geografiche e storiche. Oggi in Libia, come accadde duemila anni fa sulla collina di Gerusalemme, si stringono diaboliche alleanze tra ex nemici sulla pelle di chi non ha colpa. I Pilato e gli Erode attuali si spartiscono le risorse economiche e le aree di influenza geopolitica di un Paese in via di implosione come i soldati si giocarono a sorte la tunica di Gesù. La cronaca delle ultime ore intreccia motivi di fondo e chiavi interpretative con l’insegnamento sempiterno dei fatti narrati dal Vangelo della passione di Cristo nelle chiese di tutto il mondo.

Volti, non numeri
In guerra i numeri non sono cifre asettiche e hanno il volto di centinaia di vittime innocenti. Dal conflitto libico rimbalzano notizie atroci. In dieci giorni di conflitti sono saliti a 130 i morti degli scontri in atto e 35 sono i bambini uccisi; 750 sono i feriti di cui 200 molto gravi. Un tragico bilancio quotidianamente aggiornato dall’Asmi, l’associazione dei medici stranieri in costante contatto con i colleghi libici in prima linea nei vari ospedali che denunciano anche violenze sulle donne da parte dei militari. Finora almeno 30 le donne stuprate, sei delle quali hanno perso la vita. Nei reparti ospedalieri manca la strumentazione e le scorte di sangue. Con il materiale ed i medicinali rimasti, l’assistenza potrà proseguire per non più di due settimane.

Scenari controversi
Negli ultimi giorni sono stati soccorsi un migliaio di migranti trattenuti arbitrariamente nei centri di Khoms, Zliten e Misurata. Come sempre accade nei fronti di guerra la partita è complessa e i diversi interessi in gioco confliggono. Secondo il Wall Street Journal, l’Arabia Saudita avrebbe promesso decine di milioni di dollari ad Haftar per proseguire la sua offensiva su Tripoli. E sul sostegno all’uomo forte della Cirenaica è la Francia a finire nel mirino. Parigi ha infatti inizialmente bloccato la dichiarazione Ue per il cessate il fuoco in quanto conteneva un riferimento diretto ad Haftar. Insomma i confini della crisi libica vanno ben al di là di quelli geografici dello Stato africano e si inseriscono nello schema di alleanze che si cela ora dietro al premier Fayez Serraj, ora dietro al generale Khalifa Haftar.

Questione di vita o morte
Da un punto di vista geopolitico, poi, è troppo pericoloso lasciare che la situazione in Libia imploda. Serve una presa di coscienza su scala internazionale da parte dei governanti perché mettano mano alla tragedia libica. Altrimenti sarà troppo tardi. E anche quelli che gridano spaventati all’invasione vedranno scappare verso le nostre coste gli stessi libici e non più solo i migranti che partono dall’Africa centrale transitando per la Libia. L’Onu chiede un “immediato rilascio” e l’evacuazione dei profughi e migranti intrappolati nel conflitto libico nei pressi della capitale. “Oltre 1.500 migranti sono intrappolati nei centri di detenzione in cui infuriano le ostilità», denuncia l’Alto commissariato per i rifugiati (Unhcr). “I rischi per la loro vita crescono di ora in ora, devono essere urgentemente portati in salvo. È questione di vita o morte”, evidenzia l’Alto Commissario delle Nazioni Unite, Filippo Grandi.

L’impegno del soccorso
In tutta questa situazione, il Mar Mediterraneo resta una delle poche, disperate alternative possibili per le persone in fuga dai combattimenti. Non sappiamo ancora se le partenze dalla Libia siano aumentate dall’inizio delle ostilità ma il rischio aumenta dopo la chiusura dell’aeroporto di Tripoli a causa degli attacchi aerei. In questi giorni sono annegate 8 persone a bordo di un’imbarcazione di legno, mentre 20 superstiti sono stati intercettati dalla guardia costiera libica e riportati indietro. In assenza di un meccanismo di ricerca e soccorso in mare, la vita delle persone è a rischio tanto in mare quanto nelle zone di conflitto. L’unico impegno su cui tanti interessi in contrasto devono convergere è il soccorso. E l’unico strumento efficace è l’evacuazione umanitaria.In Libia la gravità della situazione non ammette ulteriori indugi né complici omissioni.

Situazione preoccupante
Intanto un migliaio di bambini sono attualmente utilizzati nei combattimenti. L’allarme dei medici dell’Asmi non può lasciarci indifferenti. Almeno seimila profughi sono pronti a imbarcarsi verso l’Italia per sfuggire all’inferno libico, secondo il dossier inviato a Palazzo Chigi dall’intelligence. E la guerra civile può scatenare una nuova offensiva di gruppi terroristici legati all’Isis. I mass media riferiscono l’azione di reperimento di barche e gommoni da parte degli scafisti che speculano sulla disperazione dei profughi che scappano dalla guerra. Tripoli non è ovviamente un porto sicuro e la guardia costiera libica non è in grado di presidiare il tratto di mare di propria competenza. L’escalation di violenza non consente facili ottimismi. La missione dell’Onu in Libia (Unsmil) ha denunciato il bombardamento di scuole e strutture mediche, avvertendo che si tratta di un “crimine contro l’umanità”. L’’Unsmil segnala che “il bombardamento di scuole, ospedali, ambulanze e aree civili è severamente vietato dal diritto umanitario internazionale. La Missione monitora e documenta tutti gli atti di guerra che violano questa legge al fine di informare il Consiglio di sicurezza e la Corte penale internazionale”. L’ufficio delle Nazioni unite per gli affari umanitari segnala che, dall’inizio degli scontri nei pressi di Tripoli, sono state colpite otto ambulanze. Le forze aeree del maresciallo della Cirenaica, Khalifa Haftar, hanno persino bombardato una scuola nella località di Ain Zara, a pochi chilometri dalla capitale. Da Garian, la città presa da Haftar, il l’Esercito nazionale spara razzi Grad.

Un dramma umano
C’è un momento nel quale anche le idee politiche devono lasciare il posto alle azioni emergenziali. Abbandonare queste persone disperate equivale a condannarle a morte. Quando sono i medici a lanciare l’allarme significa che si tratta di un’autentica emergenza e quindi occorre agire immediatamente. In questo caso specifico occorre intervenire affinché oltre agli auspicati corridoi umanitari venga allestita una massiccia evacuazione umanitaria con l’apporto delle pochissime organizzazioni che, a fatica e in maniera eroica, stanno gestendo sul campo l’emergenza. Sono decine i centri di detenzione situati all’interno o nei pressi dell’area di conflitto, dove le persone vivono in condizioni di estrema vulnerabilità, senza possibilità di fuga e con servizi di base, come cibo, acqua, elettricità e cure, del tutto limitati.

Il valore supremo al primo posto
Non possiamo esimerci dal rivolgere una supplica per la Libia in questa Settimana Santa nella quale si ricorda il voltafaccia di quel popolo che condannò a morte Colui che poco prima chiamava Messia. Non condanniamo a morte i più fragili tra le vittime della tragedia libica. Questo è un umile e accorato richiamo alla generosità e al senso di umanità che sempre ha dimostrato l’Italia, ma anche una richiesta d’aiuto agli altri paesi europei e alle Nazioni Unite. E’ in situazioni come questa che si è tenuti a unirsi oltre le ideologie politiche e le proprie convinzioni per impedire che muoiano persone innocenti. In Libia ora c’è la guerra e in tempi di guerra le nazioni civili soccorrono. L’esigenza di corridoi ed evacuazione umanitaria non confligge con linee e strategie del governo dell’Italia e degli altri paesi Ue sul fenomeno delle migrazioni. Di fronte alla guerra le politiche migratorie devono comunque mettere al primo posto il valore supremo del soccorso. Gli aggiornamenti dal fronte non permettono ulteriori ritardi o temporeggiamenti.

Responsabili delle Nazioni Europee, aprite il cuore ai più deboli, a partire dalle donne e i bambini. A quanti nelle istituzioni nazionali e sovranazionali si dicono cristiani: non girate la testa dall’altra parte. C’è urgente necessità di una mobilitazione a favore di persone la cui vita è appesa a un filo. Le nostre coscienze non possono lasciarci indifferenti: Ogni morte in più ricadrà come una condanna verso tutti coloro che potrebbero mobilitarsi al fine di fermare questa “inutile strage”. Fingere di non capire, restare inermi, equivale a crocifiggere altri innocenti, come accadde duemila anni fa.

La Redazione

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